Bandiera bianca & Raggi X

Raffaele Castagno
4 min readApr 21, 2020

Ogni tanto non rimane che la resa. Soprattutto quando non sembra esserci alcuna Grecia da salvare, combattendo fino all’ultimo uomo alle Termopili. Forse si comincia a vacillare a causa della quarantena, e siamo tutti nelle condizioni simili agli astronauti tornati dopo una lunga missione spaziale o marinai che sono stati per troppo tempo stipati in un sottomarino.

La mia è una modesta resa intellettuale e umana. Perché a essere sinceri esco più suonato di un pugile da questo assordante overload informativo. E non funziona neppure il “non fa male” di Rocky. Anche salire sul ring contro Ivan Drago a confronto sembra una passeggiata.

E mi dispiace dire che il problema a sto punto siano proprio gli scienziati. E mi dispiace dirlo, perché ho un profondo rispetto per chi studia, per chi ne sa più di me, per chi dovrebbe portarmi la luce della razionalità nella notte dove tutte le vacche sono nere.

Per farla breve solo nell ultime 72 ore ho letto che secondo Luc Montagnier, noto virologo, il Covid sarebbe una sorta di “chimera” dove ci sono pezzi del virus dell’Aids e che “con l’aiuto di onde interferenti (?), potremmo eliminare queste sequenze — ha spiegato — e di conseguenza fermare la pandemia. Ma ci vorrebbero molti mezzi a disposizione”.

Per molti Montagnier è solo uno dei tanti Nobel rincitrulliti: è infatti a cascata ci sono tutti un articoli in tal senso, seguiti dai confutatori degli articoli che confutano Montagnier (in una sorta di assai meno divertente riedizione di spingitori di spingitori di cavalieri di Guzzanti)

E dispiace anche vedere nella pagine di qualche zelante debunker figure come quelle di grandissimi scienziati quale Linus Pauling ridicolizzata solo perché a un certo punto si mise a propagandare i supplementi vitaminici.

Solo poche ora fra ho letto che il virilogo Giulio Tarro ha affermato che il vaccino non ci servirà e che in estate staremo bene. Una posizione sostanzialmente diversa da quella di altri suoi colleghi. Anche in questo caso sono risaltate fuori pubblicazioni che mettono in discussione l’autorevolezza di Tarro, e per altro si andrà pure per avvocati, visto che lo stesso Tarro, a sua volta, ha replicato piccato alle accuse, minacciando querele a destra e a manca.

Nelle settimane scorse abbiamo sentito scienziati darsi reciprocamente dei somari, accusarsi di avere pubblicazioni più o meno attendibili, di lavorare o non lavorare per tizio o per caio, di essere venduti o non venduti a Bill Gates; e ancora parlare di fake news circa l’efficacia di medicinali, efficacia loro volta sotenuta in interviste rilasciate da alcuni medici che lavorano in importanti ospedali italiani.

Di dispute è piena la cultura umanistica. Ma pure quando due personaggi come Erwin Rhode e Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff si insultavano pesantemente su “La nascita della tragedia greca” di Nietzche lo facevano citando opere perdute di Aristofane. “Guerre” dotte dalle quali almeno si imparava qualcosa. Ma da queste dispute tra virologi che cosa si apprende?

Dove finisce la scienza e inizia quella patologica? È un modo corretto di comunicare? È un modo corretto di fare scienza? Che fine ha fatto la prudenza che dovrebbe constraddistinguere gli scienziati? Dove è finito quel so di non sapere, quella dotta ignoranza che dovrebbe stare alla base dei processi di conoscenza?

Certo personalmente posso considerare alcune affermazioni più assurde o verosimili di altre. Ma non sarei in grado di leggere una pubblicazione scientifica (in inglese per altro) né si può pretendere che andiamo a verificare quotidianamente l’attendibilità di ogni rivista che pubblica qualcosa. Mi pare patologico. Lo dico da giornalista prima che da cittadino: è una fatica di Sisifo. E siamo stanchi, davvero.

Siete tutti scienziati, agite come tali. Non vendete come certezze ipotesi scientifiche, se va bene, o peggio vostre personali considerazioni; ricordatevi del vostro vecchio collega Wilhem Röntgen e di come affrontò la scoperta di quello che all’epoca parve una cosa assurda, come i Raggi X.

Mi è capitato di leggerne la storia nel bel libro di Sam Kean, “Il Cucchiaino scomparso”. Quando constatò per la prima volta il fenomeno nel 1895, vedendo apparire le sue ossa, pensò di essere impazzito. Difficile dargli torto. Ma è la sua reazione che ha valore:

“Invece di saltare subito alle conclusioni — scrive Kean — e ipotizzare con grande gioia, di aver trovato qualcosa di totalmente nuovo, Röntgen diede per scontato che ci fosse qualcosa di sbagliato. Vergognandosi un po’, decise che doveva confutare i suoi stessi risultati e si rinchiuse in laboratorio a lavorare per settimane intere […]. Si accollò una fatica immane per cercare di far rientrare i suoi risultati nel solco della fisica classica. Non voleva fare la rivoluzione. È buffo notare come, pur con tutti i suoi sforzi per non cadere nella scienza patologica, affiori la costante preoccupazione di non essere preso per pazzo”.

Rötgen passò i giorni a studiare, studiare, studiare, senza prendere in considerazione effetti sporadici o impressioni soggettive, ma solo i dati oggettivi come le fotografie delle lastre. Quando ritenne di aver effettivamente scoperto qualcosa pubblicò i suoi risultati. I colleghi reagirono con totale scetticismo.

“Ma Röntgen era paziente e umile: a ogni obiezione rispondeva con nuovi dati, fino a quando i colleghi non ebbero più niente da ridire [...]. Messi di fronte ai dati concreti, ottenuti con esperimenti ripetibili quasi tutti misero da parte le vecchie teorie e sposarono le sue”.

Ecco vorrei questa scienza. Vorrei più “non lo so, dobbiamo studiare”. Vorrei qualche post e intervista in meno. Vorrei meno paroloni astrusi e più divulgazione, di quella alta, che non significa adottare la comunicazione da circo della politica. Vorrei scienza, perché francamente, non è che ci sia rimasto molto altro.

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Raffaele Castagno

Giornalista, archeologo, lettore. Si occupa di mondo antico, cultura, libri e newsletter.